La Divina Commedia

Canto Sesto

Canto Sesto, nel quale mostra del terzo cerchio de l'inferno e tratta del punimento del vizio de la gola, e massimamente in persona d'un fiorentino chiamato Ciacco; in confusione di tutt'i buffoni tratta del dimonio Cerbero e narra in forma di predicere più cose adivenute a la città di Fiorenza.



3
Al tornar de la mente, che si chiuse
dinanzi a la pietà d'i due cognati,
che di trestizia tutto mi confuse,


6
novi tormenti e novi tormentati
mi veggio intorno, come ch'io mi mova
e ch'io mi volga, e come che io guati.


9
Io sono al terzo cerchio, de la piova
etterna, maladetta, fredda e greve;
regola e qualità mai non l'è nova.


12
Grandine grossa, acqua tinta e neve
per l'aere tenebroso si riversa;
pute la terra che questo riceve.


15
CerberoCerbero, fiera crudele e diversa,
con tre gole caninamente latra
sovra la gente che quivi è sommersa.


18
Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra,
e 'l ventre largo, e unghiate le mani;
graffia li spirti ed iscoia ed isquatra.


21
Urlar li fa la pioggia come cani;
de l'un de' lati fanno a l'altro schermo;
volgonsi spesso i miseri profani.


24
Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo,
le bocche aperse e mostrocci le sanne;
non avea membro che tenesse fermo.


27
E 'l duca mio distese le sue spanne,
prese la terra, e con piene le pugna
la gittò dentro a le bramose canne.


30
Qual è quel cane ch'abbaiando agogna,
e si racqueta poi che 'l pasto morde,
ché solo a divorarlo intende e pugna,


33
cotai si fecer quelle facce lorde
de lo demonio Cerbero, che 'ntrona
l'anime sì, ch'esser vorrebber sorde.


36
Noi passavam su per l'ombre che adona
la greve pioggia, e ponavam le piante
sovra lor vanità che par persona.


39
Elle giacean per terra tutte quante,
fuor d'una ch'a seder si levòMinosse, ratto
ch'ella ci vide passarsi davante.


42
"O tu che se' per questo 'nferno tratto",
mi disse, "riconoscimi, se sai:
tu fosti, prima ch'io disfatto, fatto".


45
E io a lui: "L'angoscia che tu hai
forse ti tira fuor de la mia mente,
sì che non par ch'i' ti vedessi mai.


48
Ma dimmi chi tu se' che 'n sì dolente
loco se' messo, e hai sì fatta pena,
che, s'altra è maggio, nulla è sì spiacente".


51
Ed elli a me: "La tua città, ch'è piena
d'invidia sì che già trabocca il sacco,
seco mi tenne in la vita serena.


54
Voi cittadini mi chiamaste Ciacco:
per la dannosa colpa de la gola,
come tu vedi, a la pioggia mi fiacco.


57
E io anima trista non son sola,
ché tutte queste a simil pena stanno
per simil colpa". E più non fé parola.


60
Io li rispuosi: "Ciacco, il tuo affanno
mi pesa sì, ch'a lagrimar mi 'nvita;
ma dimmi, se tu sai, a che verranno


63
li cittadin de la città partita;
s'alcun v'è giusto; e dimmi la cagione
per che l' ha tanta discordia assalita".


66
E quelli a me: "Dopo lunga tencione
verranno al sangue, e la parte selvaggia
caccerà l'altra con molta offensione.


69
Poi appresso convien che questa caggia
infra tre soli, e che l'altra sormonti
con la forza di tal che testé piaggia.


72
Alte terrà lungo tempo le fronti,
tenendo l'altra sotto gravi pesi,
come che di ciò pianga o che n'aonti.


75
Giusti son due, e non vi sono intesi;
superbia, invidia e avarizia sono
le tre faville c' hanno i cuori accesi".


78
Qui puose fine al lagrimabil suono.
E io a lui: "Ancor vo' che mi 'nsegni
e che di più parlar mi facci dono.


81
Farinata e 'l Tegghiaio, che fuor sì degni,
Iacopo Rusticucci, Arrigo e 'l Mosca
e li altri ch'a ben far puoser li 'ngegni,


84
dimmi ove sono e fa ch'io li conosca;
ché gran disio mi stringe di savere
se 'l ciel li addolcia o lo 'nferno li attosca".


87
E quelli: "Ei son tra l'anime più nere;
diverse colpe giù li grava al fondo:
se tanto scendi, là i potrai vedere.


90
Ma quando tu sarai nel dolce mondo,
priegoti ch'a la mente altrui mi rechi:
più non ti dico e più non ti rispondo".


93
Li diritti occhi torse allora in biechi;
guardommi un poco e poi chinò la testa:
cadde con essa a par de li altri ciechi.


96
E 'l duca disse a me: "Più non si desta
di qua dal suon de l'angelica tromba,
quando verrà la nimica podesta:


99
ciascun rivederà la trista tomba,
ripiglierà sua carne e sua figura,
udirà quel ch'in etterno rimbomba".


102
Sì trapassammo per sozza mistura
de l'ombre e de la pioggia, a passi lenti,
toccando un poco la vita futura;


105
per ch'io dissi: "Maestro, esti tormenti
crescerann'ei dopo la gran sentenza,
o fier minori, o saran sì cocenti?".


108
Ed elli a me: "Ritorna a tua scïenza,
che vuol, quanto la cosa è più perfetta,
più senta il bene, e così la doglienza.


111
Tutto che questa gente maladetta
in vera perfezion già mai non vada,
di là più che di qua essere aspetta".


114
Noi aggirammo a tondo quella strada,
parlando più assai ch'i' non ridico;
venimmo al punto dove si digrada:
115 quivi trovammo Pluto, il gran nemico.
1 - 2: al tornare delle proprietà sensitive che scomparvero davanti al dolore dei due cognati.
3: trestizia: tristezza.
5 - 6: mi vedo attorno, comunque m'aggiri o mi volga o guardi.
7: Io sono al terzo cerchio: da notare che Dante non dice a noi come fa a trovarsi nell'altro cerchio, passa nello stesso modo raccontato nel quarto Canto. Questo girone è quello in cui sono dannati i golosi, prostrati a soffrire sotto una pioggia perenne, mangiando fango e venendo sottomessi alla bestialità e violenza di Cerbero. Il contrappasso dato a questi dolenti non ha una precisa geometria, ma rende l'idea della brutalità alla quale la nostra anima è accusata quando è corrisposto il peccato.
9: quantità e rigore della pioggia sarà sempre uguale per l'eternità.
10: tinta: sarà da intendere sporca, putrida.
12: questo: la mescolanza di pioggia, terra e neve.
13: Cerbero: il figlio di Tifeo ed Echidna, ripreso perlopiù dal Virgilio che lo descrive soltanto, al contrario di quello che fa il sommo, che oltre ad attribuirgli tratti umani lo anima come è suo ideale, per dare maggiore espressione al poema. Diversa: strana, informe.
15: sommersa: affogata in questa pozza orribile.
16: unta e atra: sporca e sudicia dal lurido mangiare.
18: iscoia ed isquatra: graffia e squarta. Alcuni critici pensano che il primo vocabolo sia ingoia, cosa che non pare possibile anche visto che il poeta parla di mani unghiate quindi si collega più facilmente con quest'ultimo.
20: si voltano spesso dall'altro lato per far riparo a quello che è rimasto scoperto per troppo tempo.
21: profani: si danno due interpretazioni alla parola: peccatori, ridando il proprio significato primitivo alla parola; oppure fedele alle cose materiali e un esempio è quello di San Paolo che chiamava profano Esaù, che vendette per cibo il suo primogenito.
23: sanne: zanne.
26: pugna: pugni, mani.
27: ripresa dell'Eneide, questa azione è quella della Sibilla che per far passare Cerbero ad Enea, gli fa mangiare una focaccia con miele ed erbe, che lo fa addormentare.
28: agogna: espone la sua fame. Agogna è un esempio di rima imperfetta.
30: intende: è intento. Pugna: si affatica, si sfianca.
32: 'ntrona: rintrona, assorda.
34 - 35: noi passavamo su le ombre sottomesse dalla pioggia.
36: anche questi versi ripresi dall'Eneide, stanno ad indicare le anime che sono astratte, cioè non hanno consistenza, però appaiono come tali.
38: ratto ch'ella: non appena essa.
40: tratto: portato, condotto.
42: tu nascesti prima ch'io morissi.
43: l'angoscia: qui sta per dolore, patimento fisico.
48: che se un'altra pena è maggiore, nessuna è spiacevole come questa (per chi a vede e chi la soffre).
49 - 50: l'invidia è stata una delle ragioni per le quali si crearono le fazioni a Firenze, che poi porteranno a quella lotta civile tra i guelfi e i ghibellini. Trabocca il sacco: ce ne così tanta, che anche gente lontana la nota.
51: vita serena: vita terrena, ma con un accezione di nostalgia della quale più volte da esempio il poeta.
52: Ciacco: si è provato che potesse essere sia un nome proprio di persona che un soprannome, e alcuni esperti ci dicono che significa: porco, maiale, cioè goloso. Soprattutto dal Decameron, sappiamo che esso fu un uomo di corte di buone maniere, affabile e simpatico, aveva a che fare con uomini ricchi, e andava a molte feste, sia a quelle a cui veniva invitato, sia a quelle a cui non veniva invitato. Se Dante lo muove per parlare dei mali che c'erano a Firenze di certo doveva essere un uomo di buoni sentimenti e libero da qualsiasi pensiero all'interesse proprio e libero da voglia di potere, in quanto il pellegrino per lui ha compassione e pietà.
53: dannosa: rovinosa, che contribuisce al danneggiamento.
54: mi fiacco: mi affanno, mi distruggo.
57: più non fé parola: improvvisamente Ciacco non parla più, per la grande fatica (prima dimostrata) che ha sia fisicamente , per il malevolo ambiente, e sia per il rimpianto a ciò che prima aveva (la vita passata).
58: il tuo affanno: la tua pena.
60 - 61 - 62: il poeta vuole sapere, dopo le parole dei versi 51 e 52, quale sarà la conclusione della lotta interna a Firenze, se c'è qualcuno che abbia come ideale di supremazia la giustizia, e qual è stata la causa di tanta discordia. Partita: divisa.
61: tencione: lotta, battaglia. Adesso inizierà la dicitura della profezia, e con molto ingegno l'Alighieri, sposterà la scrittura del poema dal 1304 al 1300 così da far apparire come vere le profezie.
65: verranno al sangue: dalle cronache di quei tempi sappiamo che nacque una rissa il 1 maggio 1300, tra giovani dei Donati e quelli dei Cerchi, e un ragazzo di questi ultimi fu ferito, facendo crescere l'astio tra le due famiglie. La parte selvaggia: sarebbe quella dei Cerchi (che poi diventeranno i Guelfi bianchi) chiamata così perché privi delle buone maniere, e in più si racconta fossero altezzosi e di facili costumi.
66: l'altra: la famiglia dei Donati (che poi verrà chiamata dei Guelfi Neri), facenti parte della borghesia fiorentina che in quei tempi si arricchì in modo esponenziale. Molta offensione: oltre alle oppressioni ricevute, i Neri dovranno pagare anche fortissime sanzioni pecuniarie.
67: questa: questa famiglia, i Bianchi. Caggia: perderanno il potere.
68: prima che passino tre anni i Neri torneranno al potere.
69: con l'aiuto di di qualcuno che adesso sembra non avere interesse nella vicenda. Due sono le personalità a cui si affida il personaggio: il primo è Bonifacio VIII che stava al di fuori degli scontri che però già muoveva con abilità la rete di contatti che poi lo porterà all'avere in pugno Firenze con i Neri; l'altra idea dell'uomo è invece Carlo di Valois, che prima non partecipava in alcun modo alla vita fiorentina e solo dopo che il papa lo inviò con funzione di paciere si attivò, non portando equilibrio ma appoggiando i Neri.
70 - 71: per lungo tempo i Neri domineranno, imporrendo severe vessazioni e severi sanzioni pecuniarie. Da notare che il poeta non fa dire a Ciacco che i Bianchi verranno esiliati (tra cui anche Dante), questo proprio per dare l'idea che la profezia sia vera, e il poema scritto nel 1300.
72: per quanto i Bianchi si indignino e si lamentino delle pene.
73: son due: trovare chi siano è impossibile, ma si potrebbe intendere come un piccolo numero, per dire che nella popolazione chi segue l'etica del giusto sono rarità e non sono "intesi" cioè nessuno li ascolta.
74: per Dante, che lo ripete per tutto il poema, sono le tre colpe più grandi che hanno ridotto il malo stato il suo paese e infatti si collegano anche alla storia: superbia nelle controparti, invidia nel possedimento più grande altrui e avarizia cioè cupidigia, nel mettere tutto sotto il proprio potere.
76: lacrimabil suono: discorso pieno di tristezza e compassione verso quello che verrà.
77 - 78: m'insegni: m'informi. Non riesce a trattenersi il pellegrino dal domandare cosa accade nella città natale, si nota in grande che l'amore e la nostalgia verso Firenze sono immense.
79: Farinata: degli Uberti. Tegghiaio: Aldobrandi degli Adimari. Fuor sì degni: ebbero tanta dignità.
80: Arrigo: forse dei Fifanti. Mosca: dei Lamberti.
81: il "ben fare" di cui parla Dante è il senso civile che hanno avuto nell'amministrare che però non garanzia della beatitudine, della quale garanzia si avrà conferma con la risposta cruenta di Ciacco pochi versi dopo.
84: addolcia: conforta, rinfresca l'animo. Attosca: li ammala, gli appesantisce l'essere.
85: saranno poi ricordati più avanti nel poema, Farinata tra gli eretici, il Tegghiaio e Rusticucci tra i sodomiti e il Mosca tra i seminatori di discordie; forse Arrigo non venendo più nominato dovrebbe stare con il Mosca perché nominato al suo fianco senza intermezzi.
87: tanto: quanto loro sono giù.
88: dolce mondo: la nostalgia perla vita terrena qui è grande.
89: mente: memoria.
91: Ciacco guardava Dante e quando ebbe finito di parlare, dovette ritornare al suo stato quindi, abbassandosi col corpo i suoi occhi si torsero sempre guardando il pellegrino.
93: ritornò al pari degli altri dannati cioè ciechi spiritualmente.
94 - 95: non si risveglierà mai più, fino a quando non udirà il suono della tromba, che introdurrà il giudizio universale.
96: nimica podésta: colui che è nemico di tutti i dannati, Gesù.
98 - 99: si riapproprierà del proprio corpo e udirà la sentenza che fisserà per l'eternità il suo destino.
102: ragionando di quello che accadrà nel futuro senza però finire l'argomento.
103 - 104 - 105: questi tormenti, dopo il Giudizio Universale, aumenteranno, diminuiranno o avranno la stessa forza.
106: a tua scienza: alla tua dottrina scolastica (soprattutto Aristotele), che si esprimeva nel modo che quando una cosa è più perfetta, più si sente il bene o il male, questo a voler dire che chi stava male (nell'Inferno) avrà ancora più dolore, invece chi stava bene (nel Paradiso) starà ancora meglio.
109: Tutto che: sebbene, anche se.
111: preferiscono essere perfetti, completi (col corpo) anche se sanno che soffriranno di più passando anche questa immensa attesa che li sfianca.
112: girammo quella strada formando un cerchio, proprio a far valere la forma dell'Inferno.
114: dove comincia la discesa al quarto cerchio.
115: il figlio di Iasone e Demetra, dio delle ricchezze che Dante pone a guardia del girone ove sono gli avari e prodighi; trasformato sotto forma di demonio lo chiama "il gran nemico" perché appunto nemico della felicità umana.
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